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D’ISABELLA ANDREINI. 153

mostra di quella bella selva di minuti strali, ch’egli ne rimane abbagliato, nè sà ben veder chi vi mira, qual di voi due il vero Sole chiamar si possa; e quegli che à così chiaro oggetto potrà regger lo sguardo assicurisi pure d’haver mirato quant’ha di raro il Cielo. Chi non hà mai veduto il volto della nascente Aurora sparso di rose, e di gigli, miri la porpora, e la neve dell’una, e dell’altra vostra guancia. Chi non sà che cosa sia il candore dell’argentata Luna, allhora che tutta piena di raggi levate le nere bende, gareggiando col Sole sì fa vedere, vegga la candidezza della vostra fronte, e del vostro seno, che troverà tra ’l suo lume, e ’l vostro esserci questa differenza, che ’l suo non sempre riluce, e ’l vostro continuamente fiammeggia: e per conchiudere io non dirò, che chi non hà mai vedute le perle delle conche Eritree, & i rubini più pretiosi della Terra, miri i vostri pari, e ben composti denti, e quell’acceso tumidetto labbro: ma dirò solo, che chi brama di veder la più bell’opra, che mai uscisse delle mani della Natura, e del Cielo, miri voi dolcissima Signora mia, la cui bellezza è tale, che se colei, che fu dall’antica Gentilità chiamata Dea della bellezza vi fosse appresso, confessando l’error di quelle genti direbbe, che à voi sola si convien tal honore. O me felice dunque à cui vien dato in sorte d’amarvi, e di servirvi. O me di nuovo felice, poiche per così bella cagione perdei la mia libertà. O dolce, e fortunata perdita, ò piacevol giogo, ò gradita servitù, che ’n sì alto luogo impie-


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