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D’ISABELLA ANDREINI. | 12 |
morte sanava piaga d’Amore? sappiate, ch’io non hebbi così stolto pensiero, anzi vi giuro, che la vostra ferita hà risanata la mia ferita: già fui vostro servo, hora son fatto mio signore, e più giuditiosiamente governandomi, farò dono di me stesso à persona, che non m’aggravi delle sue colpe, à persona, che volentieri m’accetti, e, che non men prudente, che cortese, conoscendo la mia servitù, benignamente ancora la riconosca, à voi sarò eternamente nemico, è tanto v’odierò quanto v’amai, e ingegnerommi sempre di farvi conoscere, che la molta bontà e accompagnata da molt’ira, per vendicarsi.
Della pallidezza de gli Amanti.
OI mi scrivete (Signora mia) c’havereste caro d’intendere da che la mia malinconia, e la mia pallidezza proceda, cosa, che in vero (se siete amante) domandar non dovreste, sapendo ogn’un che ama la malinconia esser cagionata dal troppo amore, e la pallidezza dal soverchio timore. Se dunque è vero (com è in effetto) che la pallidezza nasca dal timore, come posso non esser pallida, se tutta via temo, che non mi siate tolto? Misera sò ben io, che per le vostre rare conditioni, ogni donna, che vi vede è sforzata à maravigliarsi, essendo voi veramente un miracolo di Natura. dalla Maraviglia nasce il diletto, dal diletto il desiderio, e dal desiderio l’amore, onde ogni donna che vi vede arde per
voi |