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D’ISABELLA ANDREINI. 33

le fintioni intorno vi dice; hò veduto la tale, ella era vestita così, e così; vorrei quella foggia anch’io, di gratia caro marito fatemi questo servitio, non son già da men di lei, ella era in una carozza foderata di damasco verde, guernita d’argento, co i cavalli bianchi, fattene fare una anche à me, se non mi corruccièro: e se voi le dite, mò moglie mia non posso far queste spese io, elle eccedono la nostra entrata, e bisogna, che stiamo ne’ nostri termini, in un tratto si veggono quelle lusinghe mutarsi: e ’n sembiante d’Aletto, e di Megera si prorompe in un la mia dote, ben si giuoca; ma non si spende per farmi honore. Ah, che sia maladetto quando mai dissi di sì; era pur meglio, che in vece d’uscirmi di bocca la parola, m’uscisse l’anima, che se ciò fosse avvenuto, non patirei quel, c’hora patisco, poverina me. Sì eh? ò padre, ò madre, ò parenti, che v’hò fatt’io? così, così misera me son trattata, e non s’acqueta sin tanto, che non vi risolvete di contentarla; e bisogna ben risolversi, per non vederla sempre infuriata. Oh quanto poi è strana cosa il dar minuto conto ad una donna di tutte l’hore, di tutti i passi, e di tutti i pensieri. Come si stà un poco più dell’ordinario fuor di casa, che vi pare di quell’inferno di strada? Ditemi per vita vostra, che credete voi che volessero significar i Poeti, quando dissero, che Giove lasciando il Cielo, scendeva in terra pigliando forma hor di questo, & hor di quell’animale? certo non altro, se non che l’esser maritato in Giunone gli era di tanta noia, che più tosto si contentava di star in terra sotto


I          forma