Pagina:Lettere sulla Alceste seconda (Bettoni 1808).djvu/33

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lettera terza 31

A quel di sposa; . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . Altrui non chiesi
Ciò che potea, voleva e doveva io.

È vero che in Euripide non è meno brutale Adméto verso suo padre, ma ne viene in qualche modo autorizzato dal vile rifiuto di Feréo di non aver voluto sagrificare per lui que’ pochi giorni che gli rimanevano di vita. L’Adméto d’Alfieri non ha questa scusa in suo favore.

Possibile, signor Guill. . ., che il vostro criterio finissimo non vi faccia trovare alcuna differenza fra le invettive dell’Adméto di Alfieri, e quelle dell’Admeto di Euripide? Mi trovo nella necessità di rileggervi le due scene dell’uno e dell’altro 1. Ben vi confesso che duro fatica a persuadermi che i costumi greci tollerar potessero quella irriverenza portata all’estremo verso un padre, come trovasi in Euripide, e mi sembra d’altra parte, che mentre il nostro tragico italiano non ha creduto di abbandonar affatto quella situazione del tragico greco, sotto il cui nome comparir doveva la seconda Alceste, egli l’abbia

  1. Nota 2.