Pagina:Letturecommediagelli.djvu/202

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qual cosa a volere operare bene e rettamente è sempre necessaria la prudenza che consigli altrui. E per tal cagione l’operazion di coloro, i quali operano bene per consiglio d’altrui, per avere origine da altro principio ch’elle non dovrebbono, non si posson chiamar veramente perfette. Per il che è cosa manifestissima, che così come i corpi i quali non hanno sanità non possson fare operazioni da sani, così ancor similmente quegli che non hanno prudenza non possono fare opere perfette, e che conseguitino il vero e perfetto fine. Imperò che quelle, le quali non hanno il fine buono, non solo non sono buone elleno, ma ei non è ancor buona quella potenza, la quale cerca ed elegge i mezzi per acquistarlo; onde non si può chiamarla prudenza. E se bene ella è una medesima attitudine di natura, questa tale attitudine essendo male usata, e pigliando (per aver cattivo fine) male1abito, si chiama malizia; e da alcuni, i quali vogliono per qualche loro comodo scusarla, astuzia; ed essendo bene usata, e pigliando (per avere buon fine) buono abito, prudenza. Con questa virtù della prudenza adunque ricercando il nostro Poeta de’ mezzi convenienti a conseguire il fine ch’egli si aveva preposto, il quale era di seguitar, per uscir di quella selva oscura, Virgilio per quel luogo eterno e incognito, egli gli dice:

Guarda la mia virtù, se ella è possente,
Prima che a l'alto passo tu mi fidi;

cioè esamina molto bene, prima che tu mifidi ed esponga a così alto e profondo passo, se la virtù mia è bastevole a tale impresa. Imperò che ei non è officio di prudente non considerar, prima che altrui pigli una impresa, se le forze sue sono atte a condurla al fine, essendo molto meglio, come diceva Tullio, il non cominciar le cose, che lo averle di poi a lasciare vergognosamente imperfette. Considera adunque bene se la mia virtù è possente a ciò, prima che tu mi esponga a trapassare da questa cognizione delle cose, a le quali io posso arrivare

  1. Cioè, malo.