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Pagina:Libro di sentenze, a cura di Giuseppe Manuzzi, Firenze, Tipografia del Vocabolario, 1863.djvu/21

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Al buon ingegno appartiene stabilire dinanzi quello che può advenire nell’una parte e nell’altra, e quello che1 sia da fare, quando sarà advenuto; sì come l’uomo non faccia cosa, ch’egli non venga a2 dire alcuna volta: Io nol credeva.

Molti peccati vengono non3 quando gli uomini enfiano delle oppinioni; e poi ne sono scherniti laidamente.

Di cotanto è meglio l’amistà che ’l parentado; che se la amistà perisce infra’ parenti, sì vi rimane lo nome del parentado; e se perisce infra gli amici, non vi rimane nome niuno.

Grande virtù è a constrignere lo movimento del cuore; chè turbo è fare tanto i suoi desiderii siano a ragione.

Ira sia di lunga da noi, che con lei neuna cosa può essere ben fatta nè bene pensata; e quello che l’uomo fa per alcuno turbamento, non può essere durabile nè piacevole.

Non fare quello, onde tu sia in dubitanza sia bene o male; che bontà riluce per se medesima, e dubitanza ha significanza di malvagità.

Non è neuno così capitano torto fatto, come di coloro che, quando lo fanno, vogliono mostrare che sia buono.

Due maniere sono di torti fatti; l’una è di chi ’l fa, e l’altra di chi non contradia a coloro che ’l fanno.

La ragione degli abbaiatori come cani, de’ l’uomo del tutto schifare.

Nè paura, nè dolore, nè morte, nè neuna altra cosa di fuori, è così fieramente contra natura, come arricchire del danno altrui, e maggiormente de’ bisognosi.

La legge dell’amistà comanda che non si prieghi delle cose villane.

Senno ch’è sanza giustizia, debba anzi essere chiamato malizia che scienza.

  1. che manca nel T. magliabechiano.
  2. Il T.P. che li convenga.
  3. Così il Ms; forse sol.