Pagina:Lippi - Fu il fuoco, o l'acqua che sotterrò Pompei ed Ercolano, Napoli, Sangiacomo, 1816.djvu/38

Da Wikisource.

città, che mai avea veduto, ciò che per l'appunto ritrovai.

Il marchese Marcello Venuti (Descrizione delle prime scoperte dell'antica città d'Ercolano) alla pagina 46 parla così: «Dirò solo che benissimo si vede, che dopo l'eruzione, dalla quale Ercolano fu sepolta, se ne contano altre ventisei. Dalle lave, che sono nella maggior parte passate sopra questa disgraziata città, proviene che tra essa ed il piano di Portici vi sia presentemente una volta (monte) di circa 80 palmi di pendio». Ma questo monte è, precisamente, quello ch'io chiamo monte d'alluvione volcanico, in cui non vi è un sol atomo di lava, come dirò in seguito.

Gli Accademici Ercolanesi inoltre (ed io nel citare quest'illustre Società di letterati, i quali hanno sicuramente scartabellato quanto è stato scritto su quest'argomento, do la dimostrazione dell'opinione generale di tutti gli altri scrittori, analoga a quella degli autori riferiti finora, poiché se altri avesse scritto altrimenti e ragionevolmente intorno alla distruzione e sotterramento delle due nostre rinomate città, i detti Accademici lo avrebbero senza dubbio riferito) sono perfettamente d'accordo con tutti gli altri autori intorno alla distruzione di Pompei. Infatti i signori Accademici credono, che fu questa città sotterrata dalla pioggia di ceneri volcaniche, lanciate per aria dal Vesuvio nell'anno 79; ma riguardo alla desolazione d'Ercolano i detti Accademici si sono appartati dall'opinione comune, e ne hanno pubblicata un'altra, che per rispetto non voglio confutare, ma che disgraziatamente si ritrova abbattuta dalla mia scoperta.