Pagina:Lippi - Fu il fuoco, o l'acqua che sotterrò Pompei ed Ercolano, Napoli, Sangiacomo, 1816.djvu/44

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pesante, a cagione della loro spessezza, scorrendo precipitosamente in giù per lo declivio del monte, giunse sino al mare, dove formò immediatamente un guado, da non rendere più le navi accessibili al lido, a cagione della ruina del monte.»

E nel cap. XI. §. XI. pag. 70 i signori Accademici si esprimono in questa guisa1: «Intanto nessuno si opporrà a Plinio, che racconta essersi formato rapidamente un guado nel mare dalle pomici bruciate, e dalle pietre infrante dal fuoco; infatti noi abbamo osservato che queste stesse sostanze furono quelle, che coprirono Ercolano, e pervennero sino al mare.»

E finalmente nel cap. XI. §. XIII. pag. 71 i dotti Accademici Ercolanesi stringono l'argomento cosi2: Ma supposto che non avessimo Plinio

  1. Cap. XI. §. XI. pag. 70. Interim nemo Plinio inficias iverit, qui cinere, ambustis pumicibus, et fractis igne lapidibus subitum in mare vadum efformatum narrat. Haec enim ipsa Hercuìaneum operuisse, et in mare procurrisse deprehendimus.
  2. Cap. XI. §. XIII. pag. 71. Sed quando nec Plinium testem haberemus, nec longa nos experientia doctiores reddidisset, ipsamet effossionum inspectio satis nos de illius materiae inflammatione certos faceret [...] Satis igitur et ex veterum testimonio, et ex recentibus inspectionibus exploratum habemus, quo igne, quave materia adgesta Herculaneum pessum iverit, non quidem liquido ignis torrente, de quo aequalium nemo verba fecis, nec ullum invenìnus vestigium, sed infiammalo cinere, pumicibusque.