Pagina:Lippi - Fu il fuoco, o l'acqua che sotterrò Pompei ed Ercolano, Napoli, Sangiacomo, 1816.djvu/51

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e la morte del zio, non dica una parola sola dell'eccidio delle due città. Come va questo, se Plinio era contemporaneo? Se egli era letterato e scrittore? Se parla della pioggia delle ceneri? lo per me non posso attribuire il silenzio di Plinio, che o ad una. somma indolenza, o al non evento del fatto. Mi attengo a quest'ultima opinione, non potendo supporre in Plinio un'indolenza così grande; tanto, cioè, per l'importanza somma della cosa, quanto per l'esagerazione, ch'era in voga in quei tempi presso gli scrittori, i quali scriveano delle visioni per fatti, conforme abbiam veduto aver fatto Dione Cassio, descrivendo i giganti ed il suono delle trombe della stessa eruzione del 79. Io quindi amo meglio giustificare il nipote dell'eloquente istorico, negando il fatto, che ammettere la distruzione delle due città all'epoca del 79; soprattutto perché vien attribuita ad una pioggia di ceneri, lanciate per aria dal Vesuvio, ciò ch'è in contraddizione colla geologia de' due luoghi, ed ammettendo anche una tal pioggia eccessivamente abbondante, si concepisce difficilmente il sotterramento suddetto. Come Plinio ci parla tanto prolissamente della morte del zio, ossia d'un sol uomo, accaduta nell'eruzione del 79, e non ci dice una parola sola della distruzione intera, di due così celebri città! Nò il fatto è supposto, e niente probabile, ciò che vien, anzi, provato dal seguente passo della seconda lettera a Tacito, nella quale parlando Plinio di quella eruzione dice così1: Non è mancato chi con terrori mentiti,

  1. Non defuerunt qui fictis, mentitisque terroribus vera pericula augerent.