38. E così fu; chè in vece d’un bel figlio,
Di suo gusto e di tutt’i terrazzani,
Un rospo fece come un pan di miglio,
Che avrebbe fatto stomacare i cani;
Che poi, cresciuto, fecesi consiglio
Di dargli un po’ di moglie; ma i mezzani
Non trovaron mai donna nè fanciulla,
Che saper ne volesse o sentir nulla. 39. Se non che i miei maggiori finalmente,
Mio padre che ’l bisogno ne lo scanna,
Con un mio zio ch’andava pezïente1,
E un mio fratello anch’ei povero in canna2,
Sperando tutti e tre d’ungere il dente
E dire: o corpo mio, fatti capanna3,
E riparare ad ogni lor disastro,
Me gli offeriro, e fecesi l’impiastro. 40. Fu volentier la scritta stabilita;
Io dico sol da lor, che fan pensiero
Di non aver a dimenar le dita4,
Ma ben di diventar lupo cerviero.
E perchè e’ son bugiardi per la vita,
Dimostrano a me poi ’l bianco pel nero;
Dicendomi, che m’hanno fatta sposa
D’un giovanetto, ch’è sì bella cosa.
↑St. 37 Peziente, ora pezzente. (Nota transclusa da pagina 202)
↑In canna, cioè Quanto una canna, che è priva e vota d’ogni sostanza, non tanto fuori, che dentro. (Biscioni) (Nota transclusa da pagina 202)
↑Fàtti capanna. Diventa capacissimo, sì che si possa insaccar sempre. (Nota transclusa da pagina 203)
↑St. 40. Dimenar le ditaecc. Lavorare, per mangiar come lupi. (Nota transclusa da pagina 203)