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settimo cantare 247

14.
E perch’è buono, e non di quello il quale
È nato in sulla schiena1 de’ ranocchi,
A Meo, che piuttosto a carnovale
Che per l’opre lo serba, esce degli occhi,
E bada a dire: ovvia! vi farà male;
Ma quegli, che non vuol ch’ei lo ’nfinocchi,
Ed è la parte sua furbo e cattivo,
Gli risponde: oh tu sei caritativo!
15.
Non so, se tu minchioni la mattea2,
Lasciami ber, ch’io ho la bocca asciutta;
Che diavol pensi tu poi ch’io ne bea?
Io poppo poppo, ma il cannel non butta.
Risponde Meo: poffar la nostra Dea!
Che s’ei buttasse, la beresti tutta;
Oh discrezione! s’e’ ce n’è minuzzolo.
Paride beve, e poi gli dà lo spruzzolo.
16.
Non vi so dir, se Meo allor tarocca.
Ma l’altro, che del vin fu sempre ghiotto,
Di nuovo appicca al suo cannel la bocca,
E lascia brontolare, e tira sotto;
Ma tanto esclama, prega, e dàgli, e tocca,
Ch’ei lascia al fin di ber, già mezzo cotto;
Dicendo, ch’ei non vuoi che il vin lo cuoca;
Ma che chi lo trovò non era un’oca.

  1. St. 14. In su la schiena ecc. in pantani o stagni, che non è buono. (Nota transclusa da pagina 323)
  2. St. 15. Minchioni la mattea. Burli. Vedi c. IV, 15. (Nota transclusa da pagina 323)