Pagina:Liriche di Sergio Corazzini, Napoli, Ricciardi, 1935.djvu/14

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PREFAZIONE

cielo di marzo, gonfio, oscuro, intriso, come una immane vela sfuggita a una tempesta!

Le ossa di Sergio furono presto dissepolte. Come fummo giunti a un riquadro dove fino dal giorno prima era stata identificata la cassa del nostro povero amico e ancora fresca era la zolla rimossa, l’uomo che ci aveva preceduto scomparve d’un salto sotterra; e da allora non vedemmo più se non una mano che a intervalli eguali affiorava all’orlo della fossa e lentamente, uno dopo l’altro, deponeva ai nostri piedi i resti che prima districava dalla terra e dalle erbacce e non udimmo se non una voce, incupita dalla risonanza sotterranea, che accompagnava ogni nuova offerta della mano riapparsa con la stessa parola: ecco.

Nè quella voce disse qualche cosa di più o di diverso quando sull’orlo della fossa fu deposto il teschio di Sergio che la terra sembrava avesse più profondamente scarnito e quasi modellato di sè stessa; ma fu forse una pietà improvvisa quella che spinse lo scavatore a offrirci subito dopo e accanto al teschio un ritrattino di Sergio che in quell’indimenticabile maggio del 1907 in cui il poeta morì noi volemmo sepolto con lui.

Il ritrattino, deposto tra la cassa di noce e quella di zinco, si era prodigiosamente conservato. Era, sì, ingiallito dal tempo, ma non