Pagina:Liriche di Sergio Corazzini, Napoli, Ricciardi, 1935.djvu/15

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PREFAZIONE

XI

più di quanto sarebbe stato se per tutti quegli anni fosse rimasto appeso alla parete di una stanza. E Sergio era tutto vivo in quella piccola immagine: anche lì, con il capo un po’ recline a destra come lo teneva sempre, sopratutto quando prendeva uno di noi sottobraccio e cominciava, quasi in un impeto di canto: «Forse, Antonello, nostra suora morte»... Ma quell’impeto di voce (come dolce, oggi, al ricordo!) si attenuava subito nei versi che seguivano ed ecco, allora, le indimenticabili pallidissime mani di Sergio levarsi quasi per accarezzare e sorreggere insieme le nuove parole che la sua voce, diventata appena un murmure da quanto s’era estenuata, sembrava dovesse lasciar cadere nel silenzio, una per una «Forse, Antonello, se desio di vita — ci crebbe l’ora delle prime stelle».

Orbene, Sergio era così vivo in quel ritratto che l’offerta improvvisa dello scavatore, per noi che assistevamo muti al tristissimo officio, era veramente apparsa un rifugio dallo sgomento suscitato da quel povero teschio, rosso di terra umida ancora. Ma non potemmo indugiare troppo a lungo davanti a quella dolce immagine sbiadita, chè già l’uomo aveva rinchiuso nella piccola cassa i resti dissepolti e bisognava riprendere il cammino dietro di lui verso il colombario dove anche il nostro