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«Arrivammo in tal modo al campo del califha Sidiben-M’barak, al quale mi presentarono onde ottenere il premio fissato. Ricevettero otto pezze dure di Spagna (44 lire).

«Io era veramente infelice, e, ciò non ostante, provava una dolce consolazione nel pensare che m’era riuscito di salvare il libro che, mia madre m’avea dato, tenendolo sempre nascosto nella fodera dei miei pantaloni.

«Ma i miei tormenti non erano ancora finiti. Rimesso nelle mani d’altri Arabi, che dovevano condurmi al campo dell’emir Abd-el-Kader, fui obbligato di camminar di nuovo, non ostante la mia debolezza e lo stato orribile dei miei piedi; quando cadevo, mi forzavano a correre col darmi delle bastonate.

«Dopo due giorni di cammino, ci fermammo in una tribù, che poc’anzi i Francesi avean punita delle sue depredazioni. I combattenti andavano erranti pelle montagne, ma le mogli ed i figli, che la sconfitta avea resi furiosi, m’assalirono a sassate. Io non poteva risponder loro, e n’approfittarono, sputandomi sul viso, ed imbrattandomi di terra stemprata, e di mille altre lordezze. La sera mi legarono ad un palicciuolo fuori delle tende, ed i miei guardiani si coricarono presso di me: l’un d’essi adagiò la sua testa sulle mie gambe per tema che potessi fuggire.

«Dopo quindici giorni, dietro varie marcie e contromarcie onde evitare i Francesi in ispedizione in questa parte del paese, e sempre maltrattato, in una situazione che non m’è possibile di descrivere, giungemmo al campo dell’emir, allora nella pianura di Milianah. Il chaouh (boia) mi mise i ferri ai piedi ed al collo, ed in questo stato, dopo avermi tolto il mio libro, ch’io avevo potuto sino allora conservare, mi presentò ad Abd-el-Kader.