Pagina:Lo zuavo.djvu/27

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sono ricordato del couscoussou di Ben-Aida. Ho conservato il nome del mio generoso amico della frontiera del Marocco: senza di lui, credo che non m’avreste visto mai più. M’esortò a riposarmi il rimanente del giorno, aggiungendo di tenermi pronto pel giorno seguente, perchè i suoi vicini potrebbero, se mi scoprissero, ricondurmi nella fortezza di Tafraoua. Mi disse pure che noi eravamo distanti appena dieci leghe da Melillah, città occupata dagli Spagnuoli.

«Dacchè io era partito d’Algeri non avea più dormito così bene; il sole era al suo tramonto, quando mi sentii chiamare dal mio ospite. Le donne entrarono: seppi allora che una era sua madre, l’altra la sua compagna. Egli aveva servito l’emir nei regolari. Fatto prigione dai Francesi, e detenuto a Marsiglia, vi fu perfettamente trattato. Reso alla libertà, s’era di nuovo dedicato alla cura dell’armento, e s’era quindi ammogliato.

«Facemmo un pasto composto d’arrosto di castrato, di cocomeri e di datteri; latte, divenuto agro, fu la nostra bevanda. A notte uscimmo dal gourbi. Due cavalli stavano attaccati ad un palicciolo. Ben-Aida e le donne s’inginocchiarono per la preghiera del tramonto (salat el maghreb); io pure mi prostrai, e pregai Dio affinchè si degnasse guidarmi durante questa notte, in cui dovea veder finite le mie sofferenze. Nell’alzarsi, l’Arabo mi porse la mano: — Bene tu veneri Aissa, l’animo di Dio (Gesù Cristo); i tuoi fratelli non l’implorano mai, almeno quelli che ho conosciuti; son contento di poterti esser utile, poichè vedo che sei un servitore d’Allah. — Poi andò ad inginocchiarsi innanzi a sua madre, che invocò sopra di lui la benedizione dell’Onnipotente.

«Abbracciò la sua cara Fatmè, e saltò in sella. Salutai quelle due degnissime donne, e ci allontanammo al galoppo.