E poichè Augusto vincitor si sciolse
Dall’aspro usbergo, e il non più dubbio Impero
Con soavi a bear leggi si volse,
Nè più Bellona il sanguinoso e fiero
Suo flagello agitò, nè più le genti
Impallidir di trombe al suon guerriero,
Delle Muse all’invito impazienti
Corsero i Vati al Tebro, e non pria uditi
Gl’insegnaro a ridir febei concenti.
Maro gli affanni allora, e gl’infiniti
Cantò dal Teucro Eroe varcati orrori
Seguendo il fato, i venti, i Lazii liti.
Narrò Tibullo i suoi teneri ardori
Dolci note accordando a flebil cetra,
Che amor di propria man spargea di fiori:
E mentre ei Delia e la vezzosa all’etra
Nemesi alzava, i forti inni sciogliea
Il Venosin dalla Dircea faretra,
Ond’or bei nomi al tardo obblìo togliea,
Ed or di rose intatte, e mirtee fronde
Serti a Glicera e a Lalage tessea.