Vai al contenuto

Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/11

Da Wikisource.

i - epistola a federico d’aragona 5

laude essere inferiori, per la quale e a sé e ad altri eterna vita e gloria partorissi. Cotali erano adunque quelli primi uomini, de’ quali li virtuosi fatti non solo ai nostri secoli imitabili non sono, ma appena credibili. Imperocché, essendo giá in tutto i premi de’ virtuosi fatti mancati, insieme ancora con essi ogni benigno lume di virtute è spento, e, non facendo gli uomini alcuna cosa laudabile, ancora questi sacri laudatori hanno al tutto dispregiati. La qual cosa se ne’ prossimi superiori secoli stata non fussi, non sarebbe di poi la dolorosa perdita di tanti e sí mirabili greci e latini scrittori con nostro grandissimo danno intervenuta. Erano similmente in questo fortunoso naufragio molti venerabili poeti, li quali primi il diserto campo della toscana lingua cominciorono a cultivare in guisa tale, che in questi nostri secoli tutta di fioretti e d’erba è rivestita.

Ma la tua benigna mano, illustrissimo Federico, quale a questi porgere ti sei degnato dopo molte loro e lunghe fatiche, in porto finalmenti gli ha condotti. Imperocché essendo noi nel passato anno nell'antica pisana città venuti in ragionare di quelli che nella toscana lingua poeticamente avessino scritto, non mi tenne punto la tua Signoria il suo laudabile desiderio nascoso: ciò era che per mia opera tutti questi scrittori le fussino insieme in un medesimo volume raccolti. Per la qual cosa, essendo io come in tutte le altre cose, cosí ancora in questo, desideroso alla tua onestissima volontá satisfare, non sanza grandissima fatica fatti ritrovare gli antichi esemplari, e di quelli alcune cose meno rozze eleggendo, tutti in questo presente volume ho raccolti, il quale mando alla Tua Signoria, desideroso assai che essa la mia opera, qual ch’ella si sia, gradisca, e la riceva sí come un ricordo e pegno del mio amore in verso di lei singulare.

Né sia però nessuno che questa toscana lingua come poco ornata e copiosa disprezzi. Imperocché se bene e giustamente le sue ricchezze ed ornamenti saranno estimati, non povera questa lingua, non rozza, ma abundante e pulitissima sará reputata. Nessuna cosa gentile, florida, leggiadra, ornata; nessuna acuta, distinta, ingegnosa, sottile; nessuna alta, magnifica, sonora; nessuna finalmente ardente, animosa, concitata si puote immaginare,