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ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti |
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nasce il dubbio che il core dell’amata non si torni a lei, e di questo un pensiero di ritrarre l’amor suo dalla cosa amata, e questo è revocare il cor suo a sé. Ma, perché il vivace amore cresce nelli affanni, non può impetrare lo amante di ritrarre l’amor suo, ma, necessario, li bisogna continuare in esso. E, benché fra se stesso assai certo si giudichi non potere aver alcuna dolcezza, anzi affanni e tribulazioni, non sendo amato dalla cosa amata, né essendo mai libero da gelosia, si riduce infine per necessitá a prendere quello che piú facilmente può avere dalla cosa amata; e, non potendo aver il cor suo, non si parte però il core dall’amata, ma fermasi nelli occhi dell’amata, cioè gode le esteriori bellezze e con esse si conforma, poiché del core, cioè amore dell’amata, non può disporre. Ed allora gli sguardi delli occhi amati fanno segno dell’amore che è in lei; perché e la pietá e l’amore, e cosí lo sdegno e l’ira qualche volta per segno delli occhi si comprendono. E di questo si ha spesso novelle; perché la visione dell’amata male si può celare dalli occhi o diventare invisibile, e lo amore tanto piú muove ed incita l’amante a vedere spesso l’amata, quanto piú mancano l’altre cose che solevano consolar la mente. Tutti questi effetti vorrei fussino meglio espressi nel sonetto, per levare ogni difficultá a quelli intelletti che faranno degni i versi miei della loro cognizione.
— Amorosi sospiri, i quali uscite
del bianco petto di mia donna bella,
ditemi del mio cor qualche novella
qual voi sí dolcemente in lei nutrite.
— Stassi lieto il tuo cor, quieto e mite,
mille dolci pensier movendo in quella,
co’ qual sovente e con Amor favella
alte cose e gentil, né voi l’udite.
— Sospir benigni, or è ver quel ch’io sento
da voi? — Sí certo. — Almen ditemi ancora
se lá, dov’è, stará il mio core assai. —
Mentre ch’io parlo, e lor sen vanno in vento;
Amor sopra ’l suo petto giura allora
che a me il mio cor non tornerá giamai.
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