Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/121

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ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti 115


Truovonsi scritte due sentenzie contrarie, e nondimeno spesso verificate nelle umane azioni. Perché si dice i miseri facilmente credere quello che desiderano, e, contro a questo, che «a gran speranza uom misero non crede». Io penso che la diversitá delle opinioni nasca piú presto dalla natura di quelli che sperano e desiderano alcuna cosa che dalla ragione, presupposto che l’una o l’altra opinione abbi cagioni equali, che non inclinino per sé piú ad una parte che all’altra. E però credo che quelli uomini, che di natura sono malinconici, sieno di manco speranza che gli altri; e tanto piú quanto nella vita loro hanno avuto la fortuna cosí avversa, che poche cose hanno conseguite secondo il desiderio loro. Abbiamo nel principio detto ogni forte amore procedere da forte imaginazione, e questi tali amanti di natura essere malinconici. Io confesso essere di quelli che con grandissima fervenzia ho amato, e però come amante ragionevolmente dovevo dubitare piú che sperare; aggiunto a questo che in tutta la vita mia, avvenga che piú onore e grado abbi conseguito che a me non si convenia, pure rari piaceri e poche altre cose secondo il desiderio mio ho vedute; dico di quelle cose che per refrigerio delle pubbliche e private fatiche e pericoli qualche volta ammette l’animo nostro, ancora che contentissimo viva e che molto appaghi della mia sorte. Dovevo adunque, per le ragioni nel precedente comento scritte e per le presenti, ragionevolmente dubitare. Ed essendo una volta nel cor mio nato il sospetto, grandissima ed intollerabile passione, m’insegnava la natura fare ogni cosa per cacciarlo da me. E, dubitando, come molto mostra il precedente sonetto, il mio core non fussi cacciato del petto della donna mia, né sapendo bene se quivi o altrove fussi, mi parve dovere intenderne novelle da chi veniva dal luogo medesimo; e, nascendo i sospiri del proprio luogo ove sta il core loro, me ne potevano dire il vero. E però il presente sonetto, composto per dialogo, si dirizza e parla a quelli sospiri che uscivano del petto della donna, i quali immediate venivano dal cor mio, se era in quel petto. E, per tôrre confusione, è da notare che li primi quattro versi parlo io a’ sospiri sopradetti; nel secondo quadernario rispondono i sospiri a me; di poi tutto