Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/124

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118 ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti


Era del mese d’aprile, nel quale, secondo la commune consuetudine della cittá nostra, li uomini volentieri insieme con la loro famiglia nelle dilettevole ville a loro consolazione si stanno, perché in quel tempo l’anno è tanto piú bello, quanto è la prima iuventú piú bella che tutte l’altre etá delli uomini. Ed oltre a questo la cittá nostra ha vicini a sé molti e delicati e piacevoli luoghi, i quali oltre alla naturale consuetudine allettano qualche volta a lasciare le civili e private cure e fruire alquanto di rusticano ozio. In questo tempo adunque accadde alla donna mia andare, come molte altre, in una sua dilettevole villa, ove stette alquanti dí, privandomi della sua desiderata visione. Nel qual tempo uno amicissimo, e di tanto mio amore verso di lei conscio, mi disse: — Ora si vorrebbe essere nella tal villa, a vedere la tua bella donna, perché ora cantano gli augelli, ora si rinnovano i prati d’erbe e di fiori, ora si rivestono gli arbori di frondi; le ninfe, li uomini e tutti li animali sentono al presente piú le forze amorose: e però ora sarebbe tempo che tra tanti naturali ornamenti vedessi la tua carissima donna. — Al quale io risposi che il desiderio mio di vederla né cresceva né poteva per tempo alcuno diminuire, e che io credevo, ancora che tutto il mondo in questo tempo fussi bellissimo e ornato piú che in alcuno altro, quel paese quale era intorno alla donna mia doveva esser piú bello che li altri; perché dove era lei non bisognava né sole, né stagione novella, né altra virtú che la sua a fare germinare la terra, fiorire ed empiersi di fronde li arbori, cantare li uccelli, e li altri effetti che suole far primavera. Finí il nostro parlare in simili parole. E partito dal predetto amico, tutto pieno di quelli pensieri, composi il presente sonetto, nel quale mi sforzai esprimere li effetti della virtú della donna mia, li quali operava in quelli salvatichi luoghi, dove in quel tempo si trovava; mostrando prima che li occhi suoi avevono la virtú del sole, perché dove ella li volgea faceva producere alla terra diversi colori di novelli fiori, chiamandola la bella Flora in questa parte che faceva nascere i fiori, cioè la dea de’ fiori. Faceva ancora cantare amorosamente li augelli innamorati del canto suo, quando lei sentivano dolcissimamente cantare; rivestiva delle loro frondi