Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/123

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ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti 117

naturalmente uno comodamente con uno spirito, cioè senza riavere l’alito; e però, finita quella forza che portava seco lo spirito d’un sospiro, ragionevolmente piú parole non doveva dire. E, se bene io gli chiamo «sospiri» in plurale, cioè piú d’uno, bisogna imaginare che i sospiri della donna mia fussino piú, ma che uno solo contenessi la risposta. E natura di chi ha conseguito qualche gran bene fare ogni cosa per conservarlo e farlo diuturno: e però, avendo io quello che desideravo, sentito dello stato del cor mio, desideravo ancora intendere quanto dovessi essere durabile e diuturna questa sua tale beatitudine; e però domandai li spiriti quanto fussi per stare il cor mio in quel petto. Ed essendo giá, come abbiamo detto, mancato quello spirito, e li sospiri giá resoluti in vento, non poterono rispondere. Amore allora, che, secondo che disopra abbiamo detto, era in quel luogo donde venivono li sospiri, in supplemento loro risponde, giurando sopra il petto suo che ’l mio core stará sempre con la donna mia, né giamai tornerá a me, assicurandomi col giuramento come da principio aveva assicurato il cor mio, quando prima partí da me, come mostra il sonetto che comincia: «Lasso a me, quando io son lá dove sia».

     Ove madonna volge gli occhi belli,
senz’altro sol questa novella Flora
fa germinar la terra e mandar fòra
mille vari color di fior novelli.
     Amorosa armonia rendon gli uccelli,
sentendo il cantar suo che l’innamora;
veston le selve i secchi rami allora,
che senton quanto dolce ella favelli.
     Delle timide ninfe a’ petti casti
qualche molle pensiero Amore infonde,
se trae riso o sospir la bella bocca.
     Or qui lingua o pensier non par che basti
a intender ben quanta e qual grazia abbonde,
lá dove quella candida man tocca.