Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/127

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ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti 121

     — Se ben ciascun di voi è amoroso,
pur v’ha creati chi vi parla e mira:
deh! perché adunque eterna guerra e dira
mi fate, sanza darmi un sol riposo? —
     Risponde un d’essi: — Come al nuovo sole
fan di fior vari l’ape una dolcezza,
quando di Flora il bel regno apparisce,
     cosí noi delli sguardi e le parole
facciam, de’ modi e della sua bellezza,
un certo dolce amar, che ti nutrisce. —


Ancora che nel comento del sonetto che comincia: «Ponete modo al pianto» assai dicessimo quanta fussi misera la condizione umana, e massime l’amorosa, pure, perché non se ne può dir tanto, che non sia molto piú, accade nella presente esposizione farne qualche menzione nuova; né so qual piú efficace argumento possa meglio provare la veritá di questa cosa, che considerando quello in che l’umana felicitá consiste, parlando largamente e secondo la depravata consuetudine delli uomini, e mettendo ora da parte la vera felicitá, la quale credo in questa vita non si truovi. E però diremo quella felicitá essere maggiore, alla quale procede maggior desiderio ed ardore; ed essendo ogni appetito, quanto è maggiore, piú veemente passione, bisogna confessare il fondamento di questa felicitá esser miseria grandissima. E che lo appetito sia suo vero fondamento, è manifesto, perché, mancando l’appetito, manca ancora la volontá; come, per esemplo, chi ha gran appetito di mangiare sente con piú dilettazione piacere il sapore di quello che mangia, la qual dura quanto dura la fame e con la fame muore: anzi quello, che è piacere mentre che è desiderato, quietato tale desiderio, diventa cosa molesta e fastidiosa. E per questo si può dire questa tale felicitá consistere piú presto nella privazione di quello che dá molestia, che in cosa la quale porti seco alcun bene, ed essere una medicina che solamente levi dallo infermo il male, sanza fortificare poi la natura a darli virtú alcuna; come mostra Orazio in una sua epistola, quando dice: «Nocet empta dolore voluptas». Ed avendo questo in tutte le cose umane nell’onore,