Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/169

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iii - rime 163

xxv

[Non sa, di Amore, Fortuna e Speranza, qual egli sia maggior nemico.]


     Io non so ben chi m’è maggior nimico,
o ria Fortuna, o piú crudele Amore,
o superchia Speranza che nel core
mantiene e cresce il dolce foco antico.
     Fortuna rompe ogni pensiero amico;
Amor raddoppia ognor piú il fero ardore;
Speranza aiuta l’alma che non more
per la dolcezza onde il mio cor nutrico.
     Né mai asprezza tanto amara e ria
fu quant’è tal dolcezza, o crudel morte
quant’è mia vita per l’accesa speme.
     O Fortuna piú destra ver’ me sia,
o Amore o Speranza assai men forte,
o pia morte me levi, e questi insieme.


xxvi

[È attratto dai vezzi della sua donna, come l’uccelletto dal visco.]


     Non altrimenti un semplice augelletto,
veggendo i lacci tesi pel suo danno,
fugge pria, e poi torna al primo inganno,
da’ dolci versi d’altri augei costretto:
     cosí fuggo io dall’amoroso aspetto,
ove son tesi i lacci per mio affanno;
poi i dolci sguardi e le parole fanno
ch’io corro a’ pianti miei come a diletto.
     E quel che suole in altri il tempo fare,
per le diverse cose in me disface,
ché men che pria conosco il mal ch’or pruovo.
     Cieco e senza ragion mi fo guidare
al mio cieco inimico, e per fallace
cammino in cieca fossa alfin mi truovo.