Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/186

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180 iii - rime

xl

[Si diparte suo malgrado dai dolci pensieri d’Amore.]


     Io mi diparto, dolci pensier miei,
da voi, e lascio ogni amorosa cura:
ché mia fortuna troppo iniqua e dura
mi sforza a far pur quel ch’io non vorrei.
     Pianti dolci e sospir suavi e rei,
speranze vane ed incerta paura,
che inquietavi mia fragil natura,
andate ad altri cor, lasciate lei.
     O versi, o rime, ove ogni mio lamento
dolce era e quietavo tanto affanno,
mentre che in lieta servitú mi giacqui,
     lasciovi a mal mio grado, e pur consento,
come sforzato, al preveduto inganno.
Ma cosí sia, poi che a tal sorte nacqui.


xli

[«Vòlto è il dolce in amaro».]


     Quel, ch’io amavo giá con piú disio,
piú molesto m’è or, piú mi dispiace;
quel, ch’era mia letizia e la mia pace,
è la mia guerra al tutto e il dolor mio.
     Il tempo lieto è piú dolente e rio;
quel disio, ch’era acceso, or spento giace;
e la speranza mia, giá sí vivace,
fatta è paura; e quel temea, disio.
     Quel tempo, che tardava a venir tanto,
or fugge via veloce piú che pardo:
cosí Fortuna ha vòlto ogni mia sorte.
     Vòlto è il dolce in amaro, il lieto in pianto;
fatto son pigro al tutto e lento e tardo,
veloce piú che mai verso la morte.