Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/215

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iii - rime 209

lxvii

[Gl’inganni d’Amore.]


     Occhi, voi siate pur, come paresti,
i piú begli occhi ch’io vedessi mai:
l’altre vaghe bellezze ch’io mirai
e i modi son bellissimi ed onesti.
     Né mi posso doler, lasso! di questi,
ma ringraziarli ed onorarli assai,
ma sol di te, o falso Amor, che sai
che ’l cor era adamante e nol dicesti.
     Giá ne domandai gli occhi ove tu eri:
tu formasti parole in quella bocca
da fare i monti gir, non che un cor preso.
     Giá pe’ sospir gli amorosi pensieri
suoi conobbi io, e che pietá il cor tocca,
ma non sapea di che fuoco era acceso.


lxviii

[Amore fuga il pensiero della morte.]


     Un acerbo pensier talor mi tiene
e prende sopra gli altri signoria:
se dura, io moro; e s’io lo caccio via,
un’altra volta con piú forza viene.
     Dicemi esser fallace ogni mia spene,
l’amor, la fede della donna mia;
narra i vari pensier, quali ebbe pria
che Amor ponessi in lei tutto il mio bene.
     Pensando a questo, Morte per ristoro
chiamo, e pietosa mi udirebbe allora:
ma Amor, che sa quanto a torto io mi doglia,
     mi mostra que’ begli occhi, e innanzi a loro
fugge ogni rio pensiero, ogni mia doglia,
come tenebre innanzi dell’aurora.


Lorenzo il Magnifico, Opere - i. 14