Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/31

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ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti 25

sono ricordati dell’inferno. Ed arebbe Orfeo tratto Euridice dell’inferno e condottola tra quegli che vivono, se non fussi rivòltosi verso l’inferno: che si può interpetrare Orfeo non essere veramente morto, e per questo non essere aggiunto alla perfezione della felicitá sua, di avere la sua cara Euridice. E però il principio della vera vita è la morte della vita non vera. Né per questo pare posto sanza qualche buono rispetto la morte per principio de’ versi nostri.


Sará forse suto questo nostro proemio e troppo prolisso e maggiore preparazione che non è in sé l’effetto. A me pare non sanza vera necessitá essere suto alquanto copioso; e, considerando la inezia di questi miei versi, ho giudicato abbino bisogno di qualche ornamento, il quale si conviene a quelle cose che per lor natura sono poco ornate, né si convenia minore escusazione alle colpe, che forse mi sarebbono sute attribuite. E però, assoluta questa parte, verremo alla esposizione de’ sonetti, fatto prima alquanto d’argumento che pare necessario a questi primi quattro.


Morí, come disopra dicemmo, nella cittá nostra una donna, la quale mosse a compassione generalmente tutto il popolo fiorentino; non è gran meraviglia, perché di bellezza e gentilezza umana era veramente ornata quanto alcuna che innanzi a lei fussi suta. E in fra l’altre sue eccellenti dote aveva cosí dolce ed attrattiva maniera, che tutti quelli che con lei avevono qualche domestica notizia credevono da essa sommamente essere amati. Le donne ancora e giovane sue equali non solamente di questa sua eccellentissima virtú tra l’altre non avevono invidia alcuna, ma sommamente esaltavono e laudavono la beltá e gentilezza sua, per modo che impossibile pareva a credere che tanti uomini sanza gelosia l’amassino e tante donne sanza invidia la laudassino. E, se bene la vita per le sue degnissime condizioni a tutti la facessi carissima, pure la compassione della morte per la etá molto verde e per la bellezza, che cosí morta, piú forse che mai alcuna viva, mostrava, lasciò