Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/47

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ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti 41

loro imparano, come prime e nuove impressioni meglio si ricevono nella memoria. Essendo adunque giá assicurato da Amore il mio cuore e giá da me fuggito, nessuna cosa molesta restava nel pensiero, parendomi giá vedere indizi assai certi della futura pietá nella donna mia. Questo generava in me grandissima speranza e dolcezza; e perché naturalmente s’appetisce quello che piace, quando non può essere presente, la memoria e il pensiero ce lo rappresenta, e piú volentieri quelle cose che sono sute prime, come principio o cagione di quel bene che sente la mente. Erono dunque nella memoria mia quasi perpetuamente presenti l’abito del quale era adorna la mia donna, e il luogo e il tempo quando prima fiso mirai negli occhi suoi, cioè quando, giá acceso dell’amor suo, con somma delettazione la guardai, perché il mirar fiso non procede se non da due cagioni, cioè o per conoscere bene quella tale cosa che si guarda, o per grande dilettazione che si piglia guardandola. Cessava in me la prima cagione, perché giá conoscevo la bellezza e forza degli occhi suoi; restava adunque solamente il diletto, cagione del mio mirare fiso. Ed io, se bene per altri tempi avevo veduto gli occhi suoi, non avendo ancora avuto grazia di conoscerli, non gli avevo ancora mirati fiso. E quando prima gli mirai fiso, fu dopo la cognizione di tanto bene, dopo la quale immediate necessariamente tutto di loro m’accesi, perché prima precede la cognizione e poi l’amore. Quello che paresse agli occhi miei era a me molto difficile o immaginare o referire; perché le bellezze sue, come dice Dante, soverchiono il nostro intelletto, come raggio di sole in fraile viso. E però quello, che era impossibile a me, lasciai ad Amore, il quale, stando sempre con lei ed abitando, come abbiamo detto, negli occhi suoi, e meglio conoscere e piú assolutamente esprimer poteva tanta eccellenzia. Ed oltra questo, proponendo io che la sua bellezza, leggiadria, gentilezza e pietá erono cose impossibili o a narrare o ad immaginare, e parendo questo a chi legge mirabile e quasi impossibile, pare molto conveniente producere in fede di questo un testimonio autentico; e nessuno è migliore testimonio che Amore, massime sendo suto presente,