Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/51

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ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti 45


Avviene spesse volte agli uomini, che e’ desiderano quello che sarebbe loro gravissimo danno e sperano ottenere quelle cose che sono impossibili a conseguire, mossi da presunzione ed ignoranzia, la quale, secondo i filosofi, è madre di tutti i mali. Questo difetto piú spesso si truova in quelli che sono posti in maggiore desiderio e passione, nelli quali l’afflizione e la pena è sí grande, che ogni disperata via tentano per liberarsene. Questo tale errore si nota per lo soprascritto sonetto, il quale prima propone quanto sia grave inconveniente o desiderare o sperare d’avere quelle cose che eccedono le forze nostre, alle quali la natura nostra non è proporzionata, per essere assai inferiore e meno degna; subiungendo due esempli in confermazione di questa veritá. Il primo contra quelli occhi che presummono guardare verso il sole, i quali solamente non lo possono vedere, ma perdono per quello la visione dell’altre cose. L’altro esemplo è degli orecchi, i quali non sono sufficienti a poter udire l’armonia delle spere celesti. E, per chiarir meglio questa parte, è da intendere essere suto oppinione d’alcuni filosofi (la quale mette Cicerone nel suo libro intitolato De somnio Scipionis) che il moto delle celeste spere generi diverse voci, secondo la varietá de’ moti piú veloce o piú tarda, e di tutti insieme una dolcissima armonia, di tanta grande voce e suono, che gli orecchi umani non sono sufficienti a udire, come gli occhi mortali non possono vedere il sole; dando per esemplo che quegli uomini, i quali nascono vicini alle cateratte del Nilo, cioè dove quel grande fiume da altissimi monti cade in basso, per lo strepito e romore grande tutti sono sordi. Questa oppinione, non essendo molto approvata ancora da me, non è messa per certa, e però dissi: «Se gli è vero il pensier», ecc. Da queste comparazioni degli occhi e degli orecchi umani non proporzionati o a poter vedere il sole o a udire l’armonia predetta, vengo poi a mostrare l’errore degli occhi e degli orecchi miei, i quali sono suti presuntuosi: gli occhi a guardare il sole della donna mia, gli orecchi a udire l’armonia dolcissima delle parole sue. E, se pur questo è grave errore, molto maggiore è quello del pensier mio, e molto maggior presunzione, desiderando che s’aggiunga pietá, cioè tanto maggior forza alle bellezze