Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/61

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ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti 55


Come nel precedente sonetto abbiamo narrato, giá il cuore, assicurato da Amore, era da me fuggito; e di questo convenientemente séguita volere intendere e in che luogo arrivassi ed in che stato si trovassi. Le quali cose si narrano nel presente sonetto, la sentenzia del quale è questa: che, da poi che il cuore mio bene avventurato (e questo si vede per la conclusione del sonetto, perché «avventurato» si può chiamare quello che è gentile e perfetto, come dimostrerremo nella difinizione infrascritta della gentilezza; e però non dice «bene avventurato» per esser suto vinto dalla grandezza de’ martíri, ma pel bene che gliene seguitò); dico adunque che, da poi che questo cuore vinto dai martíri molto sospirò, finalmente si partí del petto mio. Li martíri suoi non erano altro che l’acceso desiderio della bellezza della donna mia. Cosí adunque fuggito, giunse agli occhi suoi, e da loro graziosamente fu ricevuto; che si puote interpetrare che il cuore mio si pasceva e della bellezza di quelli occhi e della speranza che aveva della futura pietá, la quale speranza gli dava Amore, che era ancora lui in quegli occhi, il quale non è mai sanza pietá. Questo dolcissimo ricetto per la virtú di quelli occhi fece gentile il mio cuore; perché, se gli è vero che quelli occhi mossi da Amore faccino gentile ogni cosa che e’ guardano, molto piú dovevono fare il mio cuore degno di tanto onore, cioè della gentilezza, il quale cuore sempre in loro abitava. E, per esprimere meglio il vero e verificare quanto è detto, diremo in questo modo: farsi gentile le cose che sono vedute da quelli occhi, quando Amore gli muove; per li occhi si presuppone una singulare bellezza, per amore pietá; e dove concorrono queste due cose, nasce, nel cuore di chi vede, gran dolcezza ed amore, il quale, secondo che abbiamo detto, non è mai sanza gentilezza. Né possono quelli occhi mossi da Amore, cioè con affezione, guardare cosa che non sia o in potenzia o in atto gentile, perché l’affezione non si estende se non a quello che piace, né può piacere se non quella cosa la quale abbi qualche conformitá con noi; e però, presupposto la gentilezza di quelli occhi, si verifica che e’ non possono con Amore guardare cosa che non faccian gentile. Il cuor mio adunque, eletto,