Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/80

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74 ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti

a guardare nell’acqua, per vedere se v’era dentro ancora il viso della donna mia; e, non ve lo vedendo, mi accorsi dell’errore, e considerai subito che l’acqua non può ricevere alcuna tale forma se non ha un simile obietto assistente, perché la natura dell’acqua è cosí fatta, per essere corpo diafano. Ma gli è ben lecito col mormorio suo, secondo che pareva a me, ricordare il suo nome. E perché questo nasceva solamente dalla immaginazione e desiderio mio, altri che io non lo sentiva, né permetteva Amore che sí dolce armonia pervenissi ad altri che a’ miei innamorati orecchi. Cominciai di poi a fare comparazione dalla felicitá di quelle acque alla propria, e, parendomi essere piú felice di loro, se avevo in prima concetto alcuna invidia a quelle acque, la convertii in alquanto di arroganzia, mostrando che o gli occhi miei avevono avuto migliore fortuna, o erono suti piú prudenti e saggi; perché dalla prima ora in qua che ’l bel viso della donna mia si presentò agli occhi, sempre serborono in loro quella dolcissima immagine, né poterono da poi in qua mai vedere altra cosa né per scuritá di tenebre o d’ombra, né per lume di sole, che si può interpetrare l’ombra per la notte ed il sole per il giorno, che è tanto a dire come se dicessi né dí né notte toglie quegli occhi dagli occhi miei. O, interpetrando piú largamente, possiamo dire che due cose corrompono la vista umana e levano la potenzia agli occhi, cioè una grande oscuritá, e la oscuritá non è altro che l’ombra che nasce dalla interposizione della materia tra ’l sole e noi o da uno superchio lume, come avviene a chi guarda il sole. Adunque quella medesima immaginazione, che mi faceva sentire il nome della donna mia per il cascare dell’acqua, mi faceva vedere ancora in ogni tempo e luogo quel dolcissimo viso. Tutto questo concetto cosí espresso s’include nel presente sonetto, il quale parla sempre all’acqua del fonte sopradetto. Resta a chiarire meglio quella parte che dice che gli occhi miei furono specchio al volto della donna mia, la quale abbiamo riservato all’ultimo per non interrompere la sentenza del sonetto. E, non parendo da pretermetterla, diciamo che, volendo verificare che gli occhi miei fossino specchio dal suo viso, bisogna intendere naturalmente che gli