Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/85

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ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti 79

la qual cosa difficilmente si può fare la notte. Concludesi per questo: i notturni pensieri essere molto piú veementi, e, quando sono maligni, molto piú molesti, e per essere piú potenti e per aver manco resistenzia e rimedio.

Era adunque notte, ed io era tanto afflitto da’ pensieri miei amorosi, che piú resistere non potevo, privato al tutto di sonno, cioè di quel poco di refriggerio ch’io potevo avere; e se cercavo porre da parte que’ pensieri, questo mostra assai chiaramente che i pensieri erono molesti. La molestia de’ miei pensieri amorosi da due cose poteva procedere: o veramente da una dubitazione e continua gelosia, la quale, ancora che non abbi cagione vera, accompagna sempre la mente come l’ombra il corpo. Perché è natura de’ maninconici, come dicemo nell’esposizione del terzo sonetto, mettere dubbio nella chiarezza del sole, o veramente che, pensando io alla bellezza della donna mia, se n’accendeva in me uno maraviglioso desiderio, del quale ardendo il cuor mio, non poteva non aver grandissima passione, desiderando sommamente quello di che allora era al tutto privato. Quale adunque di queste due cagioni fusse, mosso da questa molestia, priego nel presente sonetto li miei ardenti sospiri, cioè i sospiri che nascevono dallo acceso desiderio sopradetto; priego ancora li miei pensieri sempre fissi in quel bel viso, cioè che altro non vedevono o pensavono che quella; priego ancora le lacrime degli occhi miei, ché tutte e tre queste cose a un tempo mi molestavano, che mi dieno pace, acciò che qualche sonno placido e dolce venissi alle mie luci roranti, cioè agli occhi miei lacrimosi, perché «rorante» s’interpetra quello che vulgarmente diciamo «rugiadoso». E per muovere commiserazione in quelli i quali io pregavo, mostro che tutti gli altri uomini e gli animali bruti, in quel tempo che io sospiravo e lacrimavo, si stavano quieti e in riposo sanza fatica o sanza pensiero alcuno; e oramai avevo passato con questi affanni tanta parte della notte, che era tempo mi dovessi posare, perché giá i cavalli del sole erono suti messi al giogo del carro solare per conducere la luce nel mondo; perché la scorta de’ raggi febei, cioè l’aurora che precede il sole, giá faceva segno al mondo del futuro giorno. E perché