Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.2, Laterza, 1914.djvu/24

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18 viii - amori di venere e marte

     Glauco, Nettunno, Dori, Alfeo, corrite
al tristo incesto, e Ino e Melicerta
con le driade e ’l gran padre d’Anfitrite;
     acciò che in terra, in mare e in ciel sie certa
infamia tal d’una malvagia dea,95
e grave strupo e inonestate aperta.
     Vulcan, vieni a veder tua Citerea,
come con Marte suo lieta si posa,
e rotta t’ha la fede e fatta rea.
     Debbe al consorzio tuo esser piatosa,100
ad altri no: ma gli è fatica grave
poter guardare una donna amorosa;
     ché se lei vuol, non fia chi mai la cave.
Tu dormi forse; ma se ’l suono hai inteso,
Vieni a veder di lei l’opere prave.105
     Lassa Sicilia e ’l tuo stato sospeso;
ché patir tanta ingiuria onor t’è poco:
vendetta brama Iddio d’un core offeso.

Vulcano parla:


     Non basta avermi il ciel dall’alto loco
gittato in terra e da lor mensa privo,110
e fatto fabro e dio del caldo foco;
     ché per piú pena mia ciaschedun divo
cerchi straziarmi, e dimostrar lor pruove;
ma tanta ingiuria mai non la prescrivo.
     Io pure attendo a far saette a Giove115
sudando intorno all’antica fucina,
e Marte gode mie fatiche altrove.
     Venere, Vener mia, spuma marina,
tu Marte adulter, pena pagherete,
ché grave colpa vuol gran disciplina.120
     .     .     .     .     .     .     .     .     .     .     .     .