Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.2, Laterza, 1914.djvu/275

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ii - elegia 269

     Solo a te pensa l’alma, e sol favella
di te la lingua, e il cor te sol vorrebbe,
né altra donna agli occhi miei par bella.
     Tanto amor, tanta fé certo dovrebbe70
aver mosso a pietade una sirena,
e liquefatto un cor di pietra arebbe.
     Nata non se’ di tigre o di leena,
né preso il latte nella selva ircana
o dove il ghiaccio il veloce Istro affrena.75
     Onde, se quella speme non m’è vana,
che mi dan gli occhi tuoi, gli occhi che fêrno
la piaga nel mio cor, ch’ancor non sana,
     non vorrai Amor di me facci piú scherno.
Cosí ti prego e le braccia ti spando:80
tua pietá faccia il nostro amore eterno.
     Venga, se dee venir, tuo aiuto quando
giovar mi possa, e non tardi tra via,
ché nuoce spesso a chi ben vive amando.
     Ma, lasso! or quel mi duole è ch’io vorria85
il volto e i gesti e ’l pianto, che ’l cor preme,
accompagnassin questi versi mia.
     Ma, s’egli avvien che soletti ambo insieme
posso il braccio tenerti al collo avvolto,
vedrai come d’amore alto arde e geme;90
     vedrai cader dal mio pallido volto
nel tuo candido sen lacrime tante,
da’ miei ardenti sospir scaldato molto.
     E, se la lingua pavida e tremante
non ti potrá del cor l’affetto aprire,95
come intervien sovente al fido amante,
     dágli baldanza e sentira’lo dire
quanto gran fiamma in gentil core accenda
l’amor, la speme del fedel servire.
     Chi sia che tanta cortesia riprenda?100
Anzi, perché mal puossi amor celare,
ch’altri dal volto o gesti non comprenda,