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Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.2, Laterza, 1914.djvu/285

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iv - la nencia da barberino 279

16

     Quando ti veddi uscir della capanna
col cane in mano e colle pecorelle,
il cor mi crebbe allor piú d’una spanna,
le lagrime mi vennon pelle pelle.
I’ m’avviai ingiú, con una canna
toccando e’ mie’ giovenchi e le vitelle:
i’ me n’andai in un burron quincentro:
i’ t’aspettava, e tu tornasti dentro.

17

     Quando tu vai per l’acqua con l’orcetto,
un tratto venistú al pozzo mio;
noi ci daremo un pezzo di diletto,
ché so che noi farem buon lavorío;
e cento volte io t’arei ristretto,
quando fussimo insieme e tu ed io:
e se tu dé’ venir, ché non ti spacci?
Aval che viene il mosto e i castagnacci.

18

     E’ fu d’april, quando m’innamorasti,
quando ti veddi coglier la ’nsalata;
i’ te ne chiesi, e tu mi rimbrottasti,
tanto che se ne andette la brigata.
I’ dissi bene allor dove n’andasti;
ch’io ti perdetti a manco d’un’occhiata.
D’allora innanzi i’ non fui mai piú desso,
per modo tal, che messo m’hai nel cesso.

19

     Nenciozza mia, i’ me ne voglio andare,
or che le pecorelle voglion bere
a quella pozza ch’io ti vo’ aspettare,
e livi in terra mi porrò a sedere,
tanto che vi ti veggia valicare;
voltolerommi un pezzo per piacere.
Aspetterotti tanto che tu venga;
ma fa’ che a disagio non mi tenga.