Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.2, Laterza, 1914.djvu/314

Da Wikisource.
308 xvii - rime varie o di dubbia autenticitá

e dissegli: — Tu se’ villano;
ma ragion vuol che a me non ti nasconda.
Per la virtú che m’abbonda
di questa donna, a chi dái tanta noia,
la rifiuta ogni tua gioia.
Tien’ qui: non vuol del tuo pur un quattrino. —
     Il garzon prese quelle cose,
pensando come il fatto dovea andare,
ed al buon frate rispose:
— O bel messer, non fie piú tale affare. —
Poi cominciò a passare
dall’uscio della donna disiando,
per sapere il che e ’l quando
potessi côr la rosa del giardino.
     E la donna l’altro giorno
per insegnarli la diritta via,
al buon frate la fe’ ritorno.
Lui le disse ciò che fatto avía.
Ella disse: — In fede mia,
dice a voi che s’è emendato.
Udite quel che il dispietato
mi fe’ stanotte, ed era in sul mattino.
     Io ho nella mia corte un fico
appiè dell’uscio della camera mia;
su vi salse il bello amico:
io ero desta e niente dormia.
Vituperata m’aría
in su quel punto, se non ch’io gridai;
per lo certo trovai:
la nottola m’alzò col coltellino. —
     Il frate mandò per lui di botto,
e dissegli: — Tu vai cercando morte! —
Poi gli disse a motto a motto
la salita del fico e della corte;
e lui con parole accorte
gli rispose: — Messer, tenete a mente: