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ix - la caccia col falcone | 27 |
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— Garri a quel can — Guglielmo grida forte —
che corre per cavargnene di piè; —
e però che le pertiche eran corte,
un sasso prese, ed a Guerrina die’:
poi corre giú, sanz’aspettar piú scorte;
e quando presso allo sparvier piú è,
non lo veggendo, cheto usava stare,
per udir se lo sente sonagliare.
25
E cosí stando, gli venne veduto:
— Presto — grida, — a cavallo: e’ l’ha pur presa: —
lieto a lui vanne destro ed avveduto,
come colui che l’arte ha bene intesa;
preseli il geto e per quel l’ha tenuto;
dálli il capo, e ’l cervello non li pesa;
sghermillo, e l’unghia e ’l becco gli avea netto;
poi rimisse il cappello e torna a getto.
26
Giovan Francesco intanto avea ripreso
il suo sparviere e preso miglior loco;
pârli veder che a lui ne venga teso
uno starnone; e come presso un poco
gli fu, egli ha tutte le dita esteso,
e gittò come mastro di tal gioco:
giunse la starna; e perché era vecchia,
si fe’ lasciare, e tutto lo spennecchia.
27
In vero egli era un certo sparverugio
che somigliava un gheppio, tanto è poco;
non credo preso avesse un calderugio:
se non faceva tosto, o in breve loco,
non avere’ speranza nello indugio:
quando e’ non piglia, e’ si levava a gioco;
e la cagion che quel tratto e’ non prese,
fu, che non vi avea il capo e non vi attese.