Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/111

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canto sesto

Gli arcangeli non veggo e il formidato
365Fulmin dell’ira mia. Tacciono i cieli
L’inno della mia gloria; alzano il riso
Gl’increduli mortali, e l’inconcusso
Trono della mia luce, ecco, diventa
Tenebroso sepolcro ai passi miei.
370Dormite pur, beate alme, sognate
L’albe eterne dei cieli; e tu dai regni
Contrastati del mondo oltre il confine
Della fallibil creta alza l’imbelle
Tuo desiderio, e bamboleggia e trema,
375Reo vegliardo di Roma! Io, benchè agli occhi
Nereggiar miri un crudo fato, e senta
Mormorar fra’ consorti astri una voce
Di superba minaccia, io quel nemico
Spirto di libertà, ch’agita i petti,
380Soffocherò! —
                             Disse, e l’usbergo usato,
Che tutto era di nebbie e di paure,
Stupenda opra, vestì; l’orrida assunse
Egida, che le avverse anime impietra;
Strinse nel pugno la fulminea spada,
385E d’immenso clamore il ciel confuse.
Balzâr dal sonno esterrefatti i Troni,
Gli Arcangeli balzâr, tutte fûr deste
Le falangi de’ cieli, e a frotte, a stormi
Schiamazzando venían, pari a loquaci
390Passeri, che improvviso, in fra’ tranquilli
Sonni, dell’assíolo odan lo strido.
Videli appena il Dio, che dalle soglie
Polverose de’ cieli il dubitante
Per lunghi ozj ed età passo togliea,
395Con fier cipiglio borbottando; e in petto
Mal frenando la gialla ira, tre volte
Rotò sovra la testa il brando ignudo,



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