Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/121

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canto settimo

140Tante volte fanciulla; i gelsomini,
Ch’ombran la mia finestra, e la gaggía,
Sai? la gaggía de l’orticel materno,
Ch’or principia a fiorir; non mi dà pena,
Che dir? non penso pur, che lasciar devo
145La mia povera mamma: io son cattiva,
Non è ver? ma per te! —
                              Gonfj di pianto
Gli occhi altrove volgea; sfogliava i fiori
Con inqueta mestizia, e riprendea
Poi con tremula voce:
                           — Io, sai? non voglio
150Viver lontan dalla tua mamma: un solo
Tetto ne accoglierà; seder mi è caro
Alla mensa de’ tuoi; guardar le stelle
Da le finestre della tua stanzetta;
L’aure spirar che tu spirasti; assisa
155Presso l’immagin del tuo caro estinto
Di te parlar con la tua mamma; seco
Portar la croce, e consolar d’alcuna
Speme di gioia il suo lungo dolore.
Questo è il mio sogno, questo sol; m’illude
160Forse l’amor? Tanto sperar mi è dato? —
Giunse un foglio in quel punto:
                                   — Unico mio,
Dal mio letto di spine, ov’egra e stanca
Di più lungo soffrir trascino i giorni
Della mia vedovanza, io ti sospiro,
165Io ti cerco dovunque, e le deserte
Braccia protendo, e non ti trovo, e piango.
Dove sei, dove sei, che più non torni
A questo petto abbandonato, a queste
Case del padre tuo, che, di te prive,
170Orbe son d’ogni luce, e fredde e mute
Sembran solo aspettar la morte mia?



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