Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/122

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lucifero

Dove sei, figlio mio, che più non odo
La voce tua; che più non torni a sera
A sedermi da canto, a dirmi i cari
175Sogni del tuo pensiero e i tenebrosi
Dubbj e l’ambasce d’un sorgente affetto?
Tutto, figlio, così, tutto oblíasti
L’affetto mio? Del genitor non serbi
Memoria alcuna? Ah! così nova terra
180Covre quei suoi diletti occhi, che calde
Son le ceneri ancora, e se tu il chiami,
Risponderà. Deh! così mesta e sola
Soffrir puoi tu, che da te lungi io cada?
Così dunque morire, anzi ch’io muoia,
185Deve la mia speranza ultima, e al piede
Mirar devo spezzato in un sol punto
L’estremo idolo mio? Già non fûr queste
Le tue promesse; e non cotal conforto
Da tanto amor m’impromettea! Lontano
190Dai piangenti occhi miei, fatto straniero
Al materno cordoglio, il fior tu libi
Delle gioie del mondo; io bacio i cari
Abiti tuoi; sfoglio i tuoi libri; il tuo
Letto, come solea, sprimaccio a sera
195Benedicendo; al solitario desco
La tua seggiola appongo; al consueto
Uscio origliando, a tarda ora, il tuo passo
Scricchiar da lungi inutilmente aspetto;
E forse allor che tu beato in braccio
200Dei tuoi rosei fantasmi erri i sognati
Campi dell’arte, ed all’amor sorridi,
D’ogni umano conforto abbandonata
La madre tua ti benedice, e muore! —
    Pallide e mute si guardâr negli occhi
205Quelle due fulminate anime. Ei sorse
Torbido, ansante, scompigliato; al petto



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