Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/124

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lucifero

Grido non diè, non diè gemito o pianto
Lo sventurato, e nelle grandi braccia
Abbandonossi di colei, che sola
245Di sue vedove case avea l’impero.
    Gravi fra tanto, angoscíosi, eterni
D’Isolina sul cor passano i giorni;
Passan sovra al suo cor gl’inganni alati
Del suo tempo felice, e più s’infosca
250Al cader d’ogni dì la sua speranza.
Dov’ei ne andò? Perchè non torna ai dolci
Nidi dell’amor suo? Nelle materne
Braccia obliò le sue promesse? Avvinto
D’un invitto dolor s’agita, o il freddo
255Calcolo sul gentil animo scende,
E a men umile preda il cor gli adesca?
Ella dubbia così: facil maestra
La lontananza è di sospetti, e fabro
Di torture il silenzio. Ai consueti
260Lochi si adduce; il solito viale
Percorre; nella memore stanzetta,
Presso il camin, di fronte al caro specchio
Spíator de’ lor baci, all’ora usata,
Tutti i giorni si asside; e poi che inganna
265Lungamente così l’ore infelici,
E tutta sola, abbandonata, incerta
Nell’oscuro avvenir l’anima affisa,
Co’l cor serrato indi si toglie, e al primo
Detto, che a consolarla alcun le porga,
270Rompe in lagrime amare, e altrui s’invola.
    Sinistramente al suo pallido volto
Irridevan le amiche; e l’affannosa
Anima crucíando ivan co’l vezzo
Di maligni sussurri.
                         — Un venturiero
275Era al certo colui!



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