Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/164

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lucifero

155Li astuti gli figgendo occhi d’amore:
— Caro babbo, dicea, s’è ver ch’io leggo
Nel tuo pensier, mesto sei tu. Pensoso
E tacito così, mai non mi fosti
Da parecchia stagion. Ti vien vaghezza
160Di sparger di novelli astri la faccia
Dei firmamenti? Ebben, parla: al tuo detto
Sorgeran soli e mondi. Arde i tuoi sdegni
La superbia dell’uom? Fulmina: è tua
L’eternità! —
                   Sorrise amaramente,
165Scrollando il capo, il divin Padre, e, — Acerbi
Fatti, rispose, al mio pensier tu chiami,
E quasi punta di crudel sarcasmo
Tu ferisci il mio cor. Di sogno in sogno,
Credula come sei, porta la fede
170La semplicetta anima tua; veleggi
I cari regni dell’amor, nè sai
Quanto abisso di morte e di dolore
Sotto a questi vegghianti astri si celi! —
Punse tal favellar l’orgogliosetta
175Mente di lei, che tutti aperti e chiari
I misteri del ciel correr presume,
E, di vivo rossor la guancia accesa:
— E che dunque, esclamò, questa mi vale
Presenza tua, se al guardo mio si asconde
180Parte alcuna del ver? Veggente e diva
Sol di nome son io, quando sostieni,
Che, di tenace error l’anima avvinta,
Qui in ciel, quasi mortal femmina, io viva! —
E a lei con dolce, carezzevol piglio,
185Palpando il collo flessuoso e il crine
Rispondeva il buon Dio: — Già da gran tempo
Io’l so, ch’ésca tu sei! Docile e buona
Finchè si va a’ tuoi versi, e ti si corre



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