Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/18

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epistola

Dammi che dal cor mio lungi deliri
340La molteplice insania, ispida erine,
Ch’or trascorre furente, ora si asside
Nell’umano cervello, e le secrete
Celle con fiero martellar ne introna.
Deh! se questo mi assenti, ed è tuo nume
345Che da’ cheti occhi miei fugga l’infido
Stuolo de le speranze e degli amici,
Pur sereno io vivrò: tante e sì nuove
Giostre alle morbidette alme prepara
L’aurea figlia dell’onde e quel di Maja,
350Tanto il buon Vanchetone apre alle proli
Tesor di catechismi ampio e di stupri,
Che inver folle sarei, se tutte intente
Pretendessi al mio dir l’itale orecchie.
M’udran sì, quando sia che al geniale
355Talamo un qualche frutto amor conceda,
Sì mi udranno i miei figli. A lor non molli
Danze e celeri cocchi e compro riso
Di sirene e di schiavi adempiranno
I pigri e vanitosi ozj, che sempre
360S’impaluda nel sen vacuo la vita
A chi in delizie e di delizie stanco
Con l’ala del lavor non sferza il tempo.
Nume a loro sarà l’unico nume
Degli onesti, il dover; la ragion fede,
365Vessil la libertà, patria la terra,
La coscienza del ben premio e salute.
Io tranquillo fra lor, sin che mi regga
Mente alcuna del ver l’anima intera,
All’Etna, al cielo ed alla morte in vista,
370D’Empedocle dirò l’inclita fine;
E se, indegna di me, fia che mi volga
La sposa infida e la rea prole il tergo,
Solo starò, come solingo sasso,



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