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Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/191

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canto decimo

Scenderà su’l tuo capo il mio perdono. —
410— Di perdon parli e di pietà, proruppe
Disdegnoso l’eroe, tu che di tutte
Le sciagure dell’uom colpevol vivi?
Ma stolta è l’ira: ombra tu sei di nume,
Sol vivente in parole; ond’è, che irato
415Non ti temo, e pietoso io ti dispregio.
Lasciami dunque alle mie cure: avranno
Pace le genti, e non da te; nè pace
Neghittosa e servil; di guerra stanco
L’uom non sarà pria di saper che vuota
420Larva sei tu senza subbietto, e quale
Or t’addimostri al guardo mio. Potessi
Questi sordi, confitti arbori intorno
In uomini cangiar! Vedrían qual vana
Risibil cosa e imbelle ombra tu sei! —
425Tacque, e torse le spalle. Un vampo d’ira
Salì al volto del Nume; e la bollente
Rabbia del cor tutta in un punto avría
Fuor versata nei detti, ove non fosse
Sopravvenuta al suo pensier la luce
430D’un prudente consiglio. A mala pena
Ei si contenne, e gl’iracondi sguardi
Figgendo al suol, morse le labbra, e disse:
— Sei forte, il so; ma della tua fortezza
La superbia è maggior, minore il senno.
435Odimi; sai, che da nemico petto
Sorge talora util consiglio, e saggio
Io non dirò chi lo rifiuta. Ha un segno
Anche l’ira dei forti, e chi si ostina
A produrla oltre inutilmente, indegne
440Sciagure ad altri, e a sè perigli ordisce.
Or credi a me: son paventose e fiacche
L’anime umane, e han di servir mestieri.
Ad uom cresciuto in servitù mal giova



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