Pagina:Lucrezio e Fedro.djvu/111

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di Tito Lucrezio Lib. VI. 97

     Tal sovra il nostro capo atra tempesta
     395Forza dunqu’è, che sia, che nè con tanta
     Caligine oscurar potriano il mondo
     Le nuvole, se molte unite a molte
     Non fosser per di sopra, e i vivi raggi
     Escludesser del sol; nè con sì grande
     400Pioggia opprimer potrian la terra in guisa,
     Che i fiumi traboccar spesso, e i torrenti
     Facessero, e notar nell’acque i campi,
     Se non fosse di nuvole altamente
     Ammassate fra lor l’Etere ingombro.
     405Dunque di questi fochi, e questi venti
     È pieno il tutto; e per ciò freme, e vibra
     Folgori d’ogn’intorno irato il cielo.
     Conciossiache poc’anzi io t’ho dimostro,
     Che molti di vapor semi in se stesse
     410Han le concave nubi: e molti ancora
     D’uopo è, che dall’ardor de’ rai del sole
     Lor ne sian compartiti. Or questo stesso
     Vento, ch’in un sol luogo, ovunque ei scorre,
     Le unisce a caso, e le comprime, e sforza,
     415Poichè spressi ha d’ardor molti principj,
     E con lor s’è mischiato, ivi s’aggira
     Profondamente insinuato un vortice,
     Che dentro a quelle calde atre fornaci
     Aguzza, e tempra il fulmine tremendo,
     420Che per doppia cagion ratto s’infiamma;

            di Tito Lucr. Caro T. II.    G