Pagina:Lucrezio e Fedro.djvu/114

Da Wikisource.
100 di Tito Lucrezio Lib. VI.

     Acciar percossa; indi scintilla il foco:
     Nè perchè freddo ei sia, que’ semi interni
     Di cocente splendor men lievi, e ratti
     Concorrono a’ suoi colpi. In simil guisa
     Dunque accendersi ancor posson le cose
     480Dal fulmin, se per sorte elle son atte
     La fiamma a concepir; nè puote al certo
     Mai del tutto esser freddo il vento, allora
     Che con tanto furor dall’alte nubi
     Scagliato è in terra, sicchè pria nel corso
     485Se co ’l foco non arse, almen commisto
     Voli co ’l caldo, e a noi tiepido giunga.
Ma che il fulmine il moto abbia sì rapido,
     E sì grave, e sì acerba ogni percossa,
     Nasce perchè lo stesso impeto innanzi
     490Per le nubi incitato in un si stringe
     Tutto, e di giù piombar gran forza acquista.
     Indi allor che le nubi in se capire
     L’accresciuta sua forza omai non ponno
     Spresso è ’l vortice accolto, e però vola
     495Con furia immensa; in quella guisa appunto
     Che da belliche macchine scagliati
     Volar sogliono i sassi. Arrogi a questo,
     Ch’ei di molti minuti atomi, e lisci
     Semi è formato, e contrastare al corso
     500Di natura sì fatta è dura impresa.
     Che tra’ corpi s’insinua, e per lo raro