Pagina:Lucrezio e Fedro.djvu/24

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10 di Tito Lucrezio Lib. V.

     Nascer giammai, nè mantenersi in vita,
     O del sol nelle fiamme, o della terra
     Nelle putride zolle; o ne’ sublimi
     235Campi dell’Etra, o nel profondo abisso
     Del mar. Dunque se d’anima, e di vita
     Son prive affatto queste cose, or come
     Goder ponno immortal senso, e divino?
Nè men creder si dee, che in alcun luogo
     240Del mondo aver possan gli Dei le sante
     Lor sedi; conciossiachè la sottile
     Forma de’ Numi eterni è sì remota
     Da tutti i nostri sensi, che la sola
     Mente v’aggiunge co ’l pensiero appena:
     245E perch’ella ogni tatto, ogni percossa
     Schiva dell’altrui man, toccar non dee
     Nulla, che al tatto altrui sia sottoposto;
     Che chi tocco non è, toccar non puote:
     Sì che d’uopo fia pur, che assai difformi
     250Sian dalle nostre degli Dei le sedi,
     E tenui, e a’ corpi lor simili ’n tutto;
     Siccome altrove io proverotti a lungo.
Il dir poi, che gli Dei per util nostro
     Vollero il mondo fabbricare, e ch’egli
     255Com’opra commendabile e divina
     Da noi per ciò dee commendarsi e credersi
     Eterno, ed immortale, e ch’empio e folle
     Quinci sia chi presuma, o in fatti, o in detti