Pagina:Luigi Barzini - Al fronte (maggio-ottobre 1915).djvu/113

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in un ospedale 85


Per tornare a simili godimenti egli è impaziente di guarire. La sua ferita è un conto personale aperto con gli austriaci, un conto da regolare al più presto. Quando i dottori lo medicano e gli passano i ferri nella piaga, egli nel dolore rugge invettive: «Brutto boia, aspetta, aspetta! Ci sarò anch’io quando t’acciufferemo! Aspetta, assassino, brigante...».

«Ma con chi l’hai? — gli chiesero i medici sorpresi, la prima volta. — «Con chi l’ho?... Con Cecco Beppe!...».


Uno dei feriti, fasciato alla testa, alle braccia, alle gambe, coperto di ecchimosi, è sfuggito miracolosamente dalle mani del nemico. Fu durante la conquista del ciglione sopra....

«Ho avuto paura — dice candidamente — ma una paura! Mica delle fucilate e delle cannonate — corregge subito. — Ah, no!... È andata così: era notte fatta, la mia compagnia stava alla prima linea, fra rocce, scogli, sassi, e buio pesto. Abbiamo sentito un rumore di gente che si avvicinava alla nostra destra. «Fermi ragazzi» — ci fa il capitano. La gente si avvicinava, e noi fermi. Poi tutto ad un botto, un fuoco d’inferno a dieci passi. Erano gli austriaci. Non si distingueva niente. La compagnia ripiegò subito per non essere presa, ma io cercavo gli occhiali. Sì, signore, sono miope, m’erano caduti gli occhiali e li cercavo. E mi sono trovato in mezzo a tre accidenti che mi