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la conquista della conca di plezzo | 307 |
sgropponare i cavalli per tenere indietro la
folla dei soldati accorsi a vedere, una folla
composta, contenta e senza rancori. Tutte queste
cose ci facevano presentire lo spettacolo
grandioso di una battaglia nella conca di Plezzo.
Ma avvicinandoci alla chiusa di Saga, lungo
la strada che risale la valle dell’Isonzo
verso Plezzo e verso Predil, entravamo invece
in una zona di silenzio.
La bufera ha le sue soste e la guerra i suoi riposi. Dopo giornate di violento bombardamento, all’improvviso si fa la quiete, dei cannoni giganteschi si spostano, altri si avvolgono in un mantello di tela quasi per dormire nel loro nascondiglio, e gli eserciti avversari rilasciano la stretta come due lottatori dopo uno sforzo, quando si studiano e si palpeggiano preparando un nuovo scatto dei muscoli. Siamo arrivati in vista di Plezzo durante una di queste sospensioni piene di un senso indicibile di aspettativa e di minaccia.
Le fanterie sole mantenevano lungo trinceramenti invisibili un fuoco di fucileria lento e irregolare, il tiro rado e sparpagliato che scoppietta sempre sulla fronte d’un esercito anche se nessuno si muove. Lo udivamo appena, a seconda del vento, mentre da lontano, inerpicati sulle alture di Saga, rintracciavamo nel panorama le linee dell’azione, tanto intricate e difficili al primo sguardo.