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342 l’eroica conquista di plava


Non un rumore, non un urlo, il ponte si componeva in silenzio. L’altra riva era tutta buia, nera, addormentata. Il lavoro procedeva febbrile e cauto, nelle tenebre, con l’ansia angosciosa del tempo che fuggiva, dell’alba estiva troppo vicina.

L’aurora disegnava già i profili dei monti, e il lavoro continuava. Poco più della metà del ponte era compiuta. Alle tre del mattino, quasi i tre quarti del ponte erano finiti. Ancora un poco, ancora un poco e le truppe sarebbero passate. La costruzione proseguiva ora furiosamente, nella piena luce dell’alba. All’improvviso fu un rimbombo di esplosioni nel greto e i pontieri si trovarono avvolti nel fumo.

Il nemico aveva visto. Bombardava da posizioni imprecisabili. Il ponte, colpito, si sfasciava; le barche di lamiera, sfondate dalle schegge, affondavano. Non v’era un minuto di sosta nel fuoco. Le truppe furono ritirate al coperto, nessuno, rimase sulla riva cosparsa di rottami, tempestata dai colpi.

Tutto il giorno durò intenso il cannoneggiamento. Così trascorse il 9 giugno. Venuta la notte, dei drappelli ridiscesero verso la riva.

Si era pensato di traghettare poche forze per formare al di là un primo velo di difesa. Si misero i remi ad una barca e si cominciò la traversata. Passavano venti uomini per volta. Scendevano a poche centinaia di metri dal villaggio. Quando furono sbarcati in una cinquan-