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sulle pendici del carso 409


i principali. Molte grandi catture di prigionieri le abbiamo fatte quando eravamo assaliti.

Sul Carso gli austriaci hanno prodigato tutti i sistemi di difesa, tutti i tranelli della guerra, tutti i tipi di opere di fortificazione campale antica e moderna; hanno adoperato cemento, acciaio, pietra, legno; in quantità che sarebbero bastate alla costruzione di intere città; hanno fatto dei muri di protezione lunghi otto o dieci chilometri sul fianco degli incamminamenti; hanno usufruito di grotte e di caverne, scavato cunicoli, piantato reticolati, sepolto mine. E siamo saliti.

La base delle alture, il primo sorgere del declivio di fronte a Gradisca, è boscosa. Interrate fra le piante erano centinaia di mine. Le prime pattuglie in avanscoperta furono sorprese dalle esplosioni. Bastava urtare dei fili sottilissimi, invisibili come crini di cavallo, tesi fra l’erba, per provocare uno scoppio. Squadre di volontari partirono alla ricerca. Strisciavano lentamente, frugando con lo sguardo la terra, trovavano i fili, li seguivano delicatamente, scavavano il suolo adagio adagio, disarmavano gli inneschi, e tornavano portando le scatole esplosive. Tutto questo in mezzo allo scoppiettìo delle scaramucce, sotto alla protezione di vedette che si rannicchiavano a sparare dietro ai tronchi degli alberi vicini. Così sì sgombrò la strada al primo passo.